‘Possono portare testimonianza, possono insegnare’
Inez Knight, la prima donna non sposata chiamata a svolgere una missione della Chiesa servì in Gran Bretagna per ventisei mesi, di solito con una collega, ma, a volte, da sola.
Nel 1898 Inez Knight era una studentessa ventiduenne della Brigham Young Academy di Provo, nello Utah, quando lei e la sua amica Jennie Brimhall decisero di fare una vacanza in Europa. Will Knight, fratello di Inez e fidanzato di Jennie, vi stava svolgendo una missione, come Ray Knight, l’altro fratello di Inez. Il viaggio avrebbe permesso a Inez e a Jennie di andare a trovare Will e Ray e di visitare posti interessanti.1
Quando, però, Inez e Jennie progettarono di fermarsi in Inghilterra come prima tappa, fu proprio il momento giusto perché la loro vacanza internazionale diventasse qualcosa di molto più grande.
Appena un anno prima, nel 1897, la presidenza della Missione Europea aveva chiesto alle autorità presiedenti della Chiesa di inviare qualche “sorella missionaria”. Le donne della Chiesa erano state messe a parte per svolgere la missione fin dal 1865 e molte avevano servito anche prima di allora, senza ricevere autorizzazioni formali oltre a una benedizione. Tuttavia, tranne poche eccezioni, queste missionarie erano donne sposate che accompagnavano il proprio marito sul campo di missione. Quello che la Missione Europea richiedeva erano sorelle missionarie devote, citando “casi in cui le [loro] sorelle hanno destato attenzione in Inghilterra, dove gli anziani vengono a malapena ascoltati”.2
I dirigenti delle missioni degli Stati Uniti facevano appelli simili, così, alla conferenza generale di aprile 1898, le autorità della Chiesa, preso atto dei loro desideri, autorizzarono il piano, seppur con cautela.
“Senza dubbio, le donne capaci e che desiderano fare il bene e partire, alle debite condizioni, avranno l’opportunità di farlo”, disse il presidente George Q. Cannon a quella conferenza. “Possono rendere testimonianza, possono insegnare, possono distribuire opuscoli e possono fare tantissime altre cose che contribuiranno alla diffusione del vangelo del Signore Gesù Cristo”.3
Fu in quel contesto che il vescovo di Jennie, J. B. Keeler avanzò una proposta: magari la loro vacanza europea poteva trasformarsi in una chiamata a servire il Signore. Jennie rispose che, se le fosse stato chiesto, avrebbe svolto la missione. Keeler inviò subito la proposta al presidente della Chiesa, Wilford Woodruff, e, poco dopo, il presidente di palo delle due donne ricevette una lettera che lo autorizzava a mettere a parte Inez Knight e Jennie Brimhall come missionarie per la Gran Bretagna.4
Forse la chiamata fu una sorpresa per le donne, non avevano inoltrato alcuna richiesta e si erano preparate per un soggiorno oltreoceano di soli pochi mesi. In più, non avevano precedenti da seguire: prima di allora le donne giovani e non sposate non erano mai state chiamate a svolgere missioni per la Chiesa.
Comunque sia, le donne accettarono la rispettiva chiamata e furono messe a parte l’1 aprile 1898. Il giorno dopo partirono per un lungo viaggio verso Liverpool (Inez scrisse di aver pianto da Provo a Springville, ma di essersi in seguito calmata un po’). Le donne non ricevettero un addestramento formale e Inez non menzionò mai nel journal le regole severe tipo quelle che i missionari conoscono oggi. Inez e Jennie partirono per un’avventura che, nonostante mancasse sotto molti aspetti di una struttura formale, sarebbe servita da impresa pionieristica per le generazioni future di donne della Chiesa.
Jennie Brimhall tornò a casa nello Utah dopo alcuni mesi, per motivi di salute, ma Inez servì in Gran Bretagna per ventisei mesi, di solito con una collega, ma, a volte, da sola.5 All’inizio Inez ebbe serie difficoltà a pensare alla sua missione come a “qualcosa di molto di più di un viaggio di piacere”.6 Eppure, anni dopo, un componente della presidenza della Missione Europea all’epoca in cui esse servirono riferì che le “sorelle missionarie” con cui aveva lavorato in Gran Bretagna portarono a termine un lavoro “soddisfacente sotto tutti i punti di vista”.
“Ogni volta che ho avuto il piacere di ascoltare una di loro rendere testimonianza della verità del Vangelo, parlare delle proprie sorelle dello Utah e difendere le donne mormoni, sentivo che le loro parole erano molto più convincenti di qualsiasi altra cosa potesse essere detta da un uomo. […] Credo che ci sia spazio perché molte brave sorelle svolgano un servizio missionario efficace”7